Vanni Giuffré

Quadro Vanni - Copia - Copia

Risentire il nome di Zecchillo mi apre una parte del mio passato che credevo ormai dimenticata. La mia memoria vola agli anni ’60, alle serate trascorse passeggiando lungo la via Fiori Oscuri, Fiori Chiari, via Brera. Luogo adatto per incontrare altri amici d’arte, sbirciare dietro i vetri delle varie gallerie, discutere su questa o quella mostra. Non ricordo bene dove Giuseppe Zecchillo si sia aggregato per la prima volta al nostro gruppetto. Credo sia stato al Bar Gabriele. Era li che avevamo trovato il nostro rifugio giusto per contrastare l’atmosfera che si respirava al Giamaica. Troppo snob per i nostri gusti. Troppo cara per le nostre tasche. Con me c’erano quasi sempre De Filippi, un certo Mercadante, Hisiao Chin, Togo e qualche altro che adesso non rammento. Zecchillo lo si incontrava sempre verso l’ora di cena. Solitamente ci vedevamo in un salone da biliardi in via Fiori Oscuri e succedeva quasi sempre la stessa cosa. Io come gli altri amici avevamo poca grana in tasca e il Zecchillo aveva escogitato un simpatico sotterfugio. La sfida consisteva in una o più partite di “boccetta” dove lui se avesse perso mi pagava la cena e se invece avesse vinto dovevo essere io a dargli un mio lavoro, grafico o tempera. Succedeva che il baritono perdeva sempre la prima partita e così io mi sentivo felice di aver il pasto serale assicurato ma poi, sistematicamente, chiedeva la rivincita che, il sottoscritto, sistematicamente perdeva. Se rammento bene questo giochetto durò per tanto tempo finché capii che era meglio lasciar perdere il biliardo e vendere all’imbattibile Giuseppe i miei quadri, anche se a un prezzo di favore. Ricordo anche che, prima di lasciare Milano per una nuova avventura, come quella della scoperta di Bussana Vecchia, antico paese dimenticato, nelle vicinanze di Sanremo, dove ho creato una comunità internazionale di artisti, incontrai per l’ultima volta Zecchillo al quale cedetti non ricordo quanti miei lavori. Per me lui era un “guerriero” e questo mi piaceva. Non ha mai glorificato, in nostra presenza, le sue qualità canore, i suoi premi ottenuti, gli applausi a lui tributati. Credo che abbia sempre voluto essere come noi. Giovani, battaglieri, sensibili all’arte e alle avventure che la vita ci offriva.