MAURIZIO MARTINO

 

VOLI DI MEMORIE

testo di Gianluca Bertani

ETNIE E MIGRAZIONI

CCF02122015_00000

INAUGURAZIONE venerdì 4 dicembre 2015 ore 16.00-19.00 – EX STUDIO DI PIERO MANZONI

Via Fiori Chiari n. 16 Milano con Pier Luigi Buglioni.

LA MOSTRA RIMARRA’ APERTA FINO AL 15 dicembre e visite su appuntamento

cell. 3479784833 Graziano Zecchillo – www.studiozecchillo.com

cell. 3381568296 Maurizio Martino – mmartino@live.it

CCF02122015_00003

Gli aerei che vedete non sono del tutto corrispondenti a modelli esistenti (c’è il bisogno di copiarli dal vero?), ma emergono da ricordo, talora neppure sedimentato dell’uomo, che in questo caso — fortunatamente per lui — è artista e può con una nota, una parola, un tratto, rendere partecipi di sensazioni condivise gli altri, inabili con le mani, ma lo stesso essere umani, con un destino comune. ‘

 Noi che siamo qui ad osservare questi dipinti, in realtà non stiamo vedendo dei velivoli, ma pensiamo già alla sorpresa di un arrivo, alla nostalgia di un ritorno,al|’attesa ricca di pensieri che si addensano nel volo. Non solo c’è la meta, esisitono soprattutto il percorso, il mezzo, il viaggio, che costituiscono già l’aspettativa ed il gusto dell’emozione attesa, come chiunque di noi sa bene, e da sempre. ‘

L’intensità di un’esperienza, il preludio di un’avventura, per altro già, consolidata, ma non per questo abituale, la frequentazione, inalterata nell’emozione provata ogni volta, nei viaggi aerei, continua e rafforzata, in un lasso di tempo piuttosto circoscritto, hanno lasciato nell’artista Ia memoria degli oggetti, delle cose e delle persone conosciute, nonché del mezzo di trasporto adoperato per raggiungerle.

Non vi sono indicati, in nessun modo, né finestrini, né cabine di pilotaggio, perché in questi dipinti sono rappresentati non aerei, ma degli involucri di emozioni e ricordi che scivolano nei cieli e che continuano a farlo ogni istante, in qualunque parte del mondo, a ricongiungere frammenti di umanità del globo.

Come le parole dette da un uomo valgono sovente solo per il momento in cui sono state pronunciate, così questi ultimi lavori di Martino sono il riflesso di un periodo di vita d’intenso pathos, di un’esperienza personale, sufficientemente breve per non essere dimenticata, corredata di viaggi continui (inutile dire con quale mezzo) in territori inconsueti, di tradizioni lontane culturalmente, anche se vicine nella geografia, persino con esperienze fisiche originali.

Lo spazio sopra le nuvole è abituale, direi domestico, per piloti ed hostess, non per i bipedi terrestri, per il passeggiatore al suolo, che in questo ambiente insolito e impossibile (nel cielo a 14.000 feet ?l) ne rimane sorpreso e sospeso allo stesso tempo.

 Ho visto lavorare il collega e amico, sovente, nel corso di qualche nostra comune riunione di lavoro,e in tale occasione gli schizzi preparatori, che potete qui ammirare, prendevano man mano una loro coesione, una loro composizione, arricchita con decine di varianti. Lo schizzo ripetuto più volte, veniva così a mitigare un’amarezza celata o una memoria intensa che ne aveva causato l’origine; prendevano in questo modo corpo più tardi in studio le forme, colte in sospensione, caldamente “raggelate”, che qui si osservano, tra partenze ed arrivi, tra un suolo appena accennato ed un cielo che non è presente, tra il pieno della figura ed il vuoto dello spazio circostante, dove le ombre la fanno da padrone tra linee demarcanti e colori sommessi.

Vi sono stratificazioni, elementi che si sovrappongono non nella composizione, ma nella prospettiva; il tutto sembra emergere da un nostro momento onirico, quando le forme, i contorni, i volumi, degli oggetti e delle persone assumono un aspetto evidente nell’istante, ma difficile da ricostruire e narrare nella realtà.

L’artista crea così piani su piani, mantenendo la struttura della figura e la levità della stessa (si tratta di aerei dopotutto), una sorta di sospensione che si traduce in attesa per chi osserva. L’ambientazione e le atmosfere , intrise di sfumature delicate, non uniformi, ma omogenee, non hanno nulla di surreale, semmai di metafisico, infatti dobbiamo andare al di là della prima visione per incamerare la sensazione vissuta dall’artista e condividerla. ll tratto del disegno non indugia, ma valorizza il fluido slancio nel disegno di questi oggetti, aerei-alianti della memoria; velivoli leggeri, replicati sul foglio oppure singoli, rivisti e schizzati in vari momenti della giornata, come ripensamento, ma anche come espressione, se non terapia. Il risultato è frutto di una tecnica sapiente,’non “consumata”, in lunghi anni di lavoro, nonché nell’insegnamento ai giovani.

Alcuni di questi aerei/alianti, o parti di essi, vengono in qualche lavoro di Martino anche destrutturati e ricomposti, assemblati in nuove forme, richiamanti comunque un velivolo, non lasciati in sezione e abbandonati.

Martino si rivela anche qui, come traspare dagli schizzi, tecnico sia delle strutture dei velivoli, di cui conosce le caratteristiche, sia delle tecniche diverse di rappresentazione, avvezzo come è alla sperimentazione, specialmente negli ultimi anni, quando ha affrontato lavori ”in serie”, da quello delle ”Etnie”, disegni fisiognomici, alle “Locomotive”.

 Ancora aeroplani, alianti, sempre e solo? No.

L’opera d’arte deve essere evidente, forse neppure comunicativa, sicuramente espressiva. Se si vuole discutere il livello e la qualità di questi lavori, si faccia pure, ma loro chiarezza è immediata, e non può che esserla; la spiegazione che noi vogliamo ricavare può aiutare a penetrarne ancora di più la componente emotiva.

L’artista ha frequentato per decenni gli ambienti artistici contemporanei, quello milanese in primis, ma anche ambiti a livello internazionale; un mondo di cui conosce caratteri, indirizzi e regole, ma che non ha spesso coltivato per esigenze e volontà proprie.

Martino con questi dipinti può fermare il tempo (solita illusione) e suturare le ferite rimarginando la memoria, grazie al “lavoro” che gli è abituale, altri mestieri non lo permettono; un suo collega (nel senso che ha esercitato la stessa attività) 130 anni fa circa, nel sanatorio di Saint Remy affermava infatti: ”Io ho il mio lavoro, gli altri si stanno spegnendo”. Sanità mentale non è ricordare, ma dimenticare, persino dimenticare d’aver dimenticato.

 CCF02122015_00002

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *